Ricorre oggi, 30 maggio 2024, l’anniversario della nascita al cielo di padre Stefano Pirrera.
Per i nostri lettori era semplicemente “Piresse”, firmava così i suoi articoli sul settimanale. Il suo cuore ha cessato di battere, all’età di 87 anni, giovedì 30 maggio 2013, nella Residenza Sanitaria Assistita di Casteltermini dove si trovava ricoverato dopo un periodo di malattia.
Era nato a Favara il primo gennaio del 1926 ed è stato ordinato presbitero da mons. G.B.Peruzzo nella Cattedrale di Agrigento il 29 giugno 1949. Nei 64 anni di ministero ha ricoperto numerosi incarichi pastorali: Insegnate di lettere in Seminario dal 1949 al 1953 e poi nelle scuole pubbliche. Direttore dell’ufficio missionario diocesano dal 1952 al 1967. Incarico che lo vede tessere, come lui in diversi suoi scritti ricorda, in lungo e in largo la diocesi, in sella alla sua “lambretta”. L’impegno e l’attenzione per le missioni sarà una costante della sua vita, dei suoi scritti e del suo lavoro manuale, amava fare dei lavoretti con elementi della natura (conchiglie, ciotoli cereali, …) o in fil di ferro (croci, rosari) per cui chiedeva, agli amici, un contributo che destinava interamente alle missioni. Questa sua attenzione lo portò, tra i nostri migranti in Belgio e con loro scese nelle miniere, ha incontrato le loro famiglie e nelle case teneva momenti di preghiera e di formazione cristiana.
Una esperienza che segnerà la sua vita. Ma don Stefano è stato parroco della SS. Trinità (Cannelle) a Porto Empedocle dal 1953 al 1962. Sono gli anni, dice lui più belli del suo ministero. Anni che lo vedono a fianco dei poveri, delle persone che vivevano nelle “grotte” della zona perché sprovvisti di un alloggio, lotta per la costruzione delle case popolari, si scontra con i potenti del tempo, scrive lettere di fuoco alle autorità, perché una volta costruite le case popolari queste vengono assegnate non ai suoi poveri. A Cannelle si impegna e lotta per il diritto allo studio dei suoi ragazzi, privi di scuola, lotta per la costruzione di una scuola (quella esistente era troppo lontana e i ragazzi non andavano). A sue spese affitta un appartamento dove personalmente tiene le lezioni e attraverso la poesia e il teatro avvicina i giovani in parrocchia.
Dal 1955 è assistente diocesano della gioventù femminile dell’Azione Cattolica e con lui oltre alla formazione cristiana ed umana come specifico dell’Azione Cattolica partono, aiutato dalla sorella Rosa, sempre accanto nel ministero, i primi campi scuola per ragazze, allora una novità assoluta. Dal 1962 al 1967 è rettore della Chiesa san Girolamo e contemporaneamente, dal 1963 al 1998, rettore del Santuario dell’Addolorata. Memorabili le sue battaglie (descritte nei suoi testi), contro una burocrazia ottusa, specie nel post-frana, per salvare il Santuario dell’Addolorata che una ordinanza del tempo voleva radere al suolo, come avvenne con la Chiesa san Michele. Lui si oppone energicamente, erige barricate per evitare l’abbattimento, lotta per ottenere i finanziamenti e salva una delle Chiesa più care agli agrigentini. Cura la formazione dei confrati e delle consorelle della confraternita dell’Addolorata, che con lui acquista maggiore vigore. Scrive e fa recitare ai suoi ragazzi i testi di preghiera e quelle delle sacre rappresentazioni in lingua siciliana: gli inni all’Addolorata, la Passione, il Rosario in lingua siciliana… Perché non vadano perduti i valori in cui è radicata la civiltà e la vera identità del nostro popolo li promuove come strumenti di catechesi per “allittrati” e non. Testi che attraverso l’introduzione dell’esperiente narrativo del coro diventavano per il popolo anche occasione di sfogo, di condanna del malcostume, di esortazione, di rimprovero e di richiamo.
L’ultimo suo incarico pastorale diretto fu nella parrocchia San Gregorio a Cannatello (dal 1987 al 1996), parrocchia dove il 1° giugno 2013 si sono celebrati i funerali. Ci andò per una sostituzione temporanea vi rimase per 10 anni. Con lui la parrocchia si avvierà verso una organizzazione sempre più capillare di presenza nel territorio per meglio servirlo.
Contemporaneamente agli incarichi pastorali, padre Pirrera ha svolto numerosi servizi: è stato assistente dell’Unione Cattolica Infermieri presso l’Ospedale san Giovanni di Dio, assistente diocesano dell’AIMC dal 1969 agli anni 90, cappellano del Boccone del Povero dal 1976 al 1992, componente del Consiglio Presbiterale Diocesano (1981-90), della Commissione Presbiterale Siciliana (1984-86), vicario foraneo di Agrigento (1987-90). Collaboratore, fin dalla fondazione, del settimanale diocesano fin quando le forze fisiche glielo hanno consentito. Il suo chiodo fisso: scrivere di problemi che riguardano l’educazione nella scuola ed in ambito ecclesiale. “Biografo” di molti preti e vescovi. Sono 18 i testi da lui scritti, numerose le poesie, centinaia e centinaia gli articoli di giornale.
Durante i funerali, l’arcivescovo, lo ha definito affettuosamente il “burbero buono”. Dietro quella scorza dura che offriva immediatamente a chi lo incontrava, c’era però il cuore di un uomo sensibile e attento a ciò che accadeva e c’era il cuore di un sacerdote che amava il suo sacerdozio e la sua Chiesa fino ad assumere posizioni scomode per difenderla da ciò che avrebbe potuto offuscare la sua bellezza”.
Redattore del nostro Settimanale
Fu un figlio della nostra terra e della nostra Chiesa che ha servito sempre con intelligenza ed amore. E se più volte ha alzato la voce o usato la penna, per denunciare lentezze e incongruenze, lo ha fatto con lo spirito della sentinella, o della madre sul suo bambino. I suoi scritti testimoniano tale insonne e indomita cura. Di una cosa sono certissimo: l’ha amata la Chiesa agrigentina, offrendo per essa, il tempo e le sue energie, le sue gambe e la sua testa … la vita. E nella chiesa ha voluto bene in modo particolare i poveri, gli ultimi e i confratelli che lui sempre chiamava “compagni”. Diceva sempre, specie ricordando i compagni di ordinazione e di seminario, ci siamo fatti rubare dai comunisti, questa parola bellissima e spiegava l’etimologia: “compagno deriva da latino medievale cum-panis “che mangia lo stesso pane” e chi come noi non può affermare questa verità…”.
Oggi mi piace ricordarlo come collaboratore del nostro settimanale fin dalla fondazione, e a nome di tutti, redattori e collaboratori, desidero esprimere il mio ringraziamento a don Stefano per questo impegno che non figura negli incarichi ufficiali, con decreto vescovile, ma che è stato una dimensione di tutto il suo ministero: scrivere, annotare, appuntare, pubblicare come altri suoi compagni di ministero, Domenico De Gregorio, Gerlando Lentini, Emanuele Samaritano, mons. Restivo…
Il suo amore per la Chiesa lo ha portato a vivere il giornalismo, anche se mai ha voluto iscriversi all’albo dei giornalisti, e la sua attività di scrittore come forma alta di carità intellettuale non solo nell’agone pubblico e nei dibattiti culturali, ma soprattutto come servizio umile e disinteressato alla nostra gente per accompagnarla nella ricerca della sapienza.
Qualcuno leggendo il suoi scritti può frettolosamente liquidarlo come un nostalgico, ma andando in profondità ci si accorge come padre Pirrera amava e sapeva guardare al passato perché “ignorare ciò che è accaduto prima della tua nascita, equivale ad essere sempre bambino” (Cicerone); ma ha saputo contemporaneamente guardare ed essere esegeta del presente, perché lui era convinto, per dirla con Benedetto Croce che “Ogni vera storia è storia contemporanea”.
Sapeva, a modo suo, stare con amore nella cronaca e nella storia, soprattutto nella storia dei poveri e degli ultimi. Ed ha saputo nella vita e negli scritti tessere il passato, il presente e il futuro con il filo dell’eternità. Amava ripetere una frase di un suo carissimo “compagno” di seminario e di ministero, padre Calogero Salvo, la cui memoria lui ha voluto preservare con la pubblicazione di “Più luce”, il testo che ne raccoglie i pensieri.
“La scienza è conoscenza delle cose, la sapienza è conoscenza della vita. La mancanza di scienza è ignoranza e difficoltà a vivere, la mancanza di sapienza è stoltezza è facilita a morire. La scienza a tutti è utile, la sapienza a tutti è necessaria”.
Nella sua dedica alla copia “tutti a scuola di catechismo” mi scrisse queste parole:
“A servizio sempre della verità e della giustizia come prete e come giornalista… ma senza tutti e sette i doni dello Spirito Santo ha voglia di faticare”.
E di questo lui ne era convinto.
Un maestro per me e per molti redattori del giornale che non è mai salito in cattedra, neanche quando insegnava nelle scuole pubbliche, consapevole come è sempre stato che un settimanale o uno scritto è un luogo altro e spesso più difficile della cattedra.
Scrivere per lui era documento della propria personalità. Era una lotta con se stesso, che qualche volta, soprattutto quasi al termine dei suoi giorni, gli è costata sangue e fatica per non mancare l’appuntamento settimanale con i lettori e gli abbonati al nostro giornale.
Era uno scavare dentro se stesso, le vicende della vita, “un continuo dialogo interiore tra fede e ragione, un continuo ascolto della coscienza.”
E permettetemi di richiamare una sua raccomandazione pressante a chi per la prima volta si accingeva a scrivere, ma lo ricordava anche ai preti per la predicazione: “Ogni ambiente… ha un lessico e un gergo che solo gli iniziati conoscono. Se questo è tollerabile per altri ambienti, nella Chiesa il linguaggio dovrebbe essere sempre quello della lingua comune parlata da tutti”; per questo amava, scriveva e comporre i suoi versi in lingua siciliana.
Ringrazio il buon Dio per avermelo dato come confratello e amico (mi ha tanto voluto bene!) dalla penna sottile. Il suo ricordo diventi incoraggiamento e messaggio perché in ognuno di noi si ravvivi la passione di comunicare le ragioni di quella speranza che non delude e che don Stefano ha sempre fatto trasparire nelle sue scelte e nei suoi scritti.
Alla vostra attenzione due suoi componimenti, uno dedicato alla Chiesa agrigentina e l’altro alla preghiera del Rosario i cui misteri ha tradotto in lingua siciliana.
Chiesa santa, di Diu figlia diletta,
lu Redenturi tuttu t’ha virsatu
lu sangu priziusu chi s’aspetta
l’umanità pi vinciri ‘u piccatu.
Ammistralu tu, senza riservi
Ma cu l’amuri, lu rispetti santu
C’a a lu Signuri hann’a purtari i servi,
chi tutti uguali sunnu e senza vantu.
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“È lu Rusariu prighera putenti,
la Madunnuzza, ch’e’ Matri Divina,
pi la salvizza di tutti li genti,
la raccumanna sira e matina.
È midicina daveru celesti,
chi duna all’arma la vera saluti,
ni fa scurdari li cosi mulesti,
e ni sulliva, si semu abbattuti.”