Padre Vinti, Card. Montenegro: “Un uomo ricco di Parola, di Eucaristia e di Servizio”

1391

Pubblichiamo il testo dell’intervista di Roberto Cutaia al cardinale Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento. sulla figura del Servo di Dio don Michele Arcangelo Vinti, pubblicato su L’Osservatore Romano del 16 settembre 2020, p. 7

Déute opiso mou (forza, venite dietro di me) e akolouthei moi(seguimi). Queste due espressioni in greco tratte dal Vangelo di Marco riguardano la chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù. Si tratta di una chiamata a cui rispondono coloro che conoscono Dio, non nel significato erudito del verbo latino co-(g)nosc?re «conoscere», derivato dal greco antico (gign?sk?), ma piuttosto nel senso di obbedire a Dio, di ascoltare la sua voce e di servire con gioia i suoi comandamenti, secondo il richiamo del Vangelo di  Giovanni “ascolteranno la mia voce” (Gv 10,16). E proprio secondo questa chiamata ha vissuto il sacerdozio il servo di Dio don Michele Arcangelo Vinti – del quale è in corso il processo di beatificazione – della Diocesi di Agrigento. Il prete siciliano ordinato il 9 luglio 1922 esercitò il ministero sacerdotale i primi sette mesi a Cianciana (Agrigento) e poi a Grotte (Agrigento) dove nacque e visse (18 gennaio 1893 – 17 agosto 1943). Morì lo stesso giorno all’incirca di dodici secoli dopo il 17 agosto 682 quando al soglio pontificio saliva un pontefice siciliano san Leone II (682-683).  Ora di padre Vinti – com’era da tutti chiamato pur non essendo un religioso – ce ne parla in questo colloquio il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo metropolita di Agrigento.

Eminenza, i genitori furono i primi maestri di vocazione di Michele Arcangelo Vinti.

È vero che un albero dalle buone radici si riconosce dai frutti. Non si può capire padre Vinti se non si capisce in qualche modo la famiglia nella quale lui è nato. Ultimo di sei figli, la famiglia è stata un luogo prezioso e importante per lui. È in questo contesto che ha fatto la prima esperienza di fede; la famiglia è stata il primo seminario di questo ragazzo che da grande decide di darsi al Signore attraverso il sacerdozio.

La famiglia come ponte per una vita autentica.

È importante la famiglia e in questo momento mi piace pensare a quell’immagine del film che ho avuto modo di vedere, dove in qualche modo il matrimonio viene paragonato ai pattinatori sul ghiaccio. I pattinatori devono mantenere l’equilibrio, un equilibrio precario, perché la superficie è insidiosa, però la fiducia nell’altro permette a ciascuno di volteggiare nell’aria e sapere che cadrà tra le braccia di qualcuno che ha cura di lui.

Qual era il centro della famiglia Vinti?

La famiglia Vinti era una famiglia con al centro di tutto l’eucaristia. Sia il papà Domenico sia la mamma Carmelina erano legati a questo pane della vita, tanto è vero che erano persone di comunione quotidiana e la visita alla Chiesa diventava quasi un dovere, una necessità per loro. Ed è in questo contesto che cresce Michele, come lo chiamavano a casa. È qui che nasce la sua vocazione. Sente il desiderio di farsi prete fin da piccolo e dire che la famiglia sia stato il pre-seminario è la verità.

Fin da tenera età don Vinti avvertì la vocazione sacerdotale. Dopo il “pre – seminario” vissuto in famiglia, sarebbe dovuto andare con i padri redentoristi nei pressi di Frosinone. Però tutto svanì per l’opposizione della sorella Giuseppina e della mamma. Allora la scelta cadde sul seminario vescovile di Agrigento. È andata così?

Vero. Lui sarebbe dovuto andare dai padri redentoristi che in qualche modo gli facevano anche “la corte”, vedendo la bontà di questo ragazzo. Però grazie alla sorella e alla madre non fu fatta questa scelta ed entrò nel seminario di Agrigento.

Padre Vinti, come tutti lo chiamavano e tutt’ora viene denominato, è rimasto un modello di spiritualità per la comunità di Grotte e l’intera arcidiocesi di Agrigento e non solo. La fama di santità si è sparsa negli anni in diverse parti del mondo, dal Brasile al Canada, agli Stati Uniti. Come mai?

Tutto va ricondotto alla sua costante preoccupazione di essere un buon sacerdote ma soprattutto un santo sacerdote. Così visse ogni giorno, fin dal periodo del seminario e durante la vita sacerdotale, sentendo forte la chiamata. In questo momento mi viene in mente un episodio del mio vescovo monsignor Francesco Fasola (1898-1988) quando a noi sacerdoti regalava una tabellina in cui c’era scritto: celebra la tua messa come se fosse la prima, come se fosse l’ultima, come se fosse l’unica. E credo che per padre Vinti l’eucaristia fosse il centro della sua vita sacerdotale e quindi era importante la sua preoccupazione di essere un ponte tra Dio e gli uomini.

Padre Vinti richiama sotto certi aspetti, se si pensa all’assidua presenza nel confessionale, il curato d’Ars. Sacerdoti capaci di attirare e riportare il gregge e le pecorelle distratte nell’ovile. Quanto sono importanti oggi i presbiteri come padre Vinti?

Alcune volte noi diciamo: quello è un sacerdote d’altri tempi e questo è un sacerdote moderno. Io non sono convinto di questa divisione, di questa separazione, perché il sacerdozio è un mistero, non è solo un ministero; ed è un mistero che non può diversificarsi nel tempo. Ogni sacerdote sia di ieri che di oggi porta dentro di sé una realtà unica, irripetibile che può cambiare soltanto nella forma ma non nella sua essenza. La loro preoccupazione in fondo era quella che la gente potesse scoprire la bellezza e la forza di Dio.

La “marcia in più” di padre Vinti può essere stata data dal fatto di aver vissuto povero ma ricco di preghiera, di mortificazione e di ogni virtù sacerdotale?

La marcia in più di padre Vinti è stata la sua povertà, ed è stata anche la sua ricchezza. Era un uomo ricco non di cose, di oggetti, non era il denaro la sua preoccupazione. Era un uomo ricco di Dio, della Parola, era un uomo ricco di tutto ciò che permetteva al cielo di scendere sulla terra. Era un uomo ricco perché aveva la forza di spingere la terra verso il cielo. Era un uomo ricco perché sapeva guardare la gente con la misericordia, con gli occhi di colui che vuole dare amore e che sente amore nello svolgere questo servizio. Era un uomo ricco perché non era preoccupato delle cose che potevano circondare e riempire la sua vita. Perché la sua vita era già piena, non aveva bisogno di altro.

Un sacerdozio insomma vissuto nella totalità, sollecito verso gli ammalati e i moribondi. È stato veramente un padre per ogni fedele della comunità. E se oggi aumentano sempre più i devoti sarà il riflesso di quella santità mai attenuatasi?

Padre Vinti sentiva forte questo. Le pecorelle gli appartenevano, però lui sapeva che il suo ministero era di far sì che queste pecorelle s’innamorassero di quel buon pastore. Ecco perché dico che i presbiteri di ieri, come oggi, in Gesù trovano il modello dell’unico modello, il modello di buon pastore. Potranno fare le cose più diverse ma il loro mistero è quello di appartenere al Dio che li ha chiamati, essere alter Christus, noi diremmo oggi un Cristo vivente per aiutare la gente a sentire quelle carezze e quelle parole che Gesù disse duemila anni fa nella sua Palestina, ma che sono parole sempre attuali per tutti noi.

Al termine della confessione diceva ai penitenti «fatevi santi». Pare che avesse il dono dello scrutamento delle coscienze. È possibile?

Quanti di noi portano il ricordo di un prete che li ha ascoltati, che li ha perdonati, che li ha aiutati, che li ha confortati e che ha saputo essere compagno! Ecco il sacerdote: colui che sa alzare la mano e sa dire «ti sono perdonati i tuoi peccati». Verrebbe da dire, se non fosse leggera questa frase, era lo sport preferito di padre Vinti, sì, in questo alzare la mano e poter dare il perdono di Dio, poter rasserenare ciascuno anche l’uomo ferito e aiutarlo a scoprire che poteva rimettersi in piedi. Ed è bello, perché proprio lui nel dare la confessione poi completava con quelle parole dei santi; in fondo la santità non è opera di gesti eclatanti, gesti che meravigliano gli altri; la santità è vivere la semplicità in ciò che Dio chiede, ciò che Dio vuole. La santità è quella della porta accanto, quel vivere la propria vita nella normalità ma sentire la gioia di esserci, di vivere, sentire la gioia di un Dio che è vicino.

Padre Vinti è stato un innamorato di Gesù Cristo. Cos’era questo amore che tutti percepivano?

Il sacerdote non è un uomo che sa fare tante cose, è l’uomo talmente innamorato di qualcuno che vuole che anche gli altri lo scoprano: come un ragazzo quando ama la sua ragazza, una mamma, un papà amano il proprio figlio; di questo sono fieri. La gioia del prete è proprio questo: scoprire che un po’ alla volta anche gli altri possano sentire questa bellezza di Dio che riempie il loro cuore. Un uomo ricco di parola, di eucaristia, di servizio, un uomo attento agli altri. Questo è il Dio di padre Vinti. Un uomo molto preciso, ieratico, ma un uomo e lo ripeto un uomo pieno di Dio, che sapeva leggere nelle coscienze, nel cuore degli altri e lo poteva fare perché aveva il cuore e gli occhi puliti. Perché dove Dio c’è, c’è luce e la luce riesce a togliere il buio ovunque questo si trovi.

È in corso la causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio Michele Arcangelo Vinti. Le attese dei tanti devoti sono in forte crescita. C’è qualcosa di rilevante che può spiegare ai lettori de «L’Osservatore Romano» a proposito dell’iter?

Noi ora guardiamo a padre Vinti, lo vedremo e speriamo di vederlo venerabile; lo vedremo e speriamo di vederlo santo, lo guardiamo con ammirazione perché seppur nella sua semplicità ha saputo vivere il ministero in maniera tale da lasciare il segno. È il sacerdote che quando lo incroci nella vita lascia quel profumo che mi fa dire «ma quello sì che è un uomo di Dio».

Padre Vinti non ha scritto libri, non ha fondato opere sociali o religiose. Cosa lascia?

Non credo abbia scritto molto e che abbia lasciato qualcosa che ognuno di noi possa prendere in mano. Lui non ha avuto bisogno di scrivere perché lui è stato una parola. Quella parola che Dio ha detto, che da tutti è stata ascoltata, quella parola leggibile perché facile, anche se impegnativa, necessaria per poter completare quel discorso con Dio; e allora credo che l’insegnamento che ci viene da padre Vinti, soprattutto a noi sacerdoti, è quello di scoprire e sentire il nostro ministero come un grande mistero. Un mistero che abbraccia cielo e terra, che ha l’odore di Dio ma che insieme ha l’odore dell’uomo, un mistero che riesce a trasformare un cuore di pietra in cuore di carne. Padre Vinti prete santo perché uomo di Dio. Ognuno di noi uomo di Dio, perciò possibilmente santo.

Roberto Cutaia