Ricorrono oggi, il 18 ottobre 2022 i trentacinque anni dalla canonizzazione del martire stefanese Giacinto Giordano Ansalone. Abbiamo Chiesto, in occasione del XXXV, a mons. Ignazio Zambito, originario di Santo Stefano Quisquina, dove vive dopo avere rassegnato le dimissioni, per raggiunti limiti di età, dal governo pastorale della diocesi di Patti, di dirci dell’attualità del messaggio e della testimonianza di fede di San Giacinto Giordano.
Mons. Ignazio Zambito (foto diocesidipatti.it)
“La breve vicenda umana del Santo martire – scrive mons. Zambito – nota a quanti ricordano o, magari, hanno partecipato all’evento della solenne proclamazione fatta da S. Giovanni Paolo II, può risultare nuova ai più giovani ed è, peraltro, eminente per la sua disarmante semplice brevità.
1598. l° novembre nasce da Vincenzo e Lavinia Ansalone in S. Stefano Quisquina e, nel battesimo, di cui si trova il verbale nell’archivio parrocchiale, riceve il nome di Giacinto (foto sotto).
1615. Dopo i primi studi nel convento del Rosario nel paese natio, è novizio, con il nome di Giordano da S. Stefano, nel convento di S. Domenico di Agrigento.
1618. Si trasferisce a Salamanca, in Spagna, per perfezionare gli studi. È assegnato al convento di Trichiglio, nella Castiglia, per prepararsi a salpare come missionario verso l’Oriente.
1625. Parte per le missioni viaggiando, a piedi, fino a Siviglia.
Sosta in Messico ove traduce in latino la storia dei Santi Domenicani del Padre Ferdinando Castillo.
Arriva a Manila, nelle Filippine, e si dedica alla cura degli ammalati.
1632. È in Giappone ove visita e anima i cristiani sparsi nelle varie zone e provati dalla persecuzione.
1633. Gravemente infermo, è costretto a fermarsi a Nagasaki. Guarisce in un tempo miracolosamente breve e riprende il lavoro.
1634. Da Agosto in poi e in carcere. Interrogato e torturato in vari orrendi modi, il 18 novembre consegue la corona del martirio insieme a numerosi altri cristiani.
Sul Santo Martire cala una coltre di silenzio. Spessa tre secoli. Pesante e bucherellata, solo di tanto in tanto, all’interno dell’ordine religioso dei Padri Predicatori e, più raramente ancora, nella natia S. Stefano.
Giordano Ansalone vive nella prima metà del secolo XVII, quattro secoli fa. La sua vita di battezzato, religioso missionario, chierico si è dipanata in una società totalmente altra rispetto alla nostra. La sua fede si è confrontata e sviluppata intrecciandosi con gli aspetti migliori e con le criticità che distano anni luce da quanto caratterizza i nostri giorni; l’autenticità della sua fede, il suo ardore missionario partono da un’Europa che sa della stampa da meno di un secolo, non ha ancora conosciuto l’Illuminismo e si riconosce cristiana. Prodotti della terra e manufatti si avvalgono ancora di energie e metodi identici a quelli delle Bucoliche virgiliane. I regnanti sono proprietari dei loro regni in cui vige il democratico cuius regio et religio, i rapporti commerciali tra i continenti s’intrecciano e misurano con tecnologie che, per quanto ardite, manco possono fantasticare di elettricità, radio, televisione, internet, WhatsApp, treni, aerei. Le Americhe e non solo, con i vari Colombo, Caboto, Vespucci, Magellano, avevano appena frantumato le colonne di Ercole.
Quest’alterità legittima l’attenzione sul messaggio dell’Ansalone e spinge a chiedersi se esso abbia senso, valore e parole per noi, oggi, qui, per i nativi digitali, per il nostro mondo divenuto villaggio che si può tenere in mano, infilato com’è, in un groviglio di strumenti comunicativi tanto immediati quanto a disposizione di tutti.
La molla che, nel Seicento, spinge un giovane dell’entroterra siciliano, a ‘partire’ verso l’Oriente lontano, misterioso, fabbricatore di martiri va vista, senza dubbio, nel contesto del tempo. Le potenze trovavano il loro tornaconto a farsi paladini dei missionari. Però quel giovane ha altro in cuore. Egli sente nitido nel cuore: ‘Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo’ (Mt 28,19-20).
Durante l’attenta preparazione ha fatto sua la visione notturna di Paolo: ‘gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: “Passa in Macedonia e aiutaci!”. Dopo questa visione, subito cercò di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio l’aveva chiamato ad annunziarvi la parola del Signore. Salpato da Troade, face vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia’ (cfr. At 16,9-13).
Cambiate Macedonia con Messico, Filippine e Giappone, Neapoli e Filippi con Nagasaki… l’ardore è lo stesso per dire: ‘Entrerò nella tua casa con olocausti, a te scioglierò i miei voti, (…). Ti offrirò pingui olocausti con fragranza (…). Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto. A lui ho rivolto il mio grido, la mia lingua cantò la sua lode’ (Sal 65,13-17).
E olocausto sta a indicare la modalità sacrificale per la quale la vittima veniva bruciata intera; tutta in onore di Javeh; tutto per Dio; tutto, interamente, senza riserve e calcoli, il messaggio per l’oggi è trasparente.
Messaggio che, per passare, suppone, la lampada della fede in chi lo trasmette e chi lo riceve. La fede senza sconti, però, quella dei santi, dei martiri, di Giordano.
La fede del poeta biblico che: Riconoscete che il Signore è Dio; egli ci ha fatti, mica noi, (…), poiché il Signore è gentile, la sua misericordia è per le generazioni, la sua verità per le generazioni delle generazioni (Sal 99,3-5).
Foto da pagina Facebook del Comitato Giacinto Giordano Ansalone
Fede che non è quella dei due che, nei pressi di Emmaus che, prima della catechesi dello strano viandante, proclamano il Kerygma a … metà: ‘Tutto ciò, dicono, che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi l’hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso’ (Lc 24,20) e sigillano la seconda metà, quella che riguarda la risurrezione di Cristo e nostra sotto il loro tombale ‘speravamo’ (ib 21).
Fede è quella che nella lettera agli Ebrei appaia in unità il dire e il fare.
Fede è quella per quale egli, il Figlio dell’Eterno, si è fatto figlio dell’uomo e poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita (Eb 2,14-15).
Si tratta della fede allo stato puro. La fede che vince il timore di perdere. La fede del figlio che, niente vedendo, se non tenebre e pericolo e morte e nulla, si fida e si butta quieto e tranquillo come bimbo in braccio alla madre, perché Colui che ha promesso è fedele e non mancherà all’appuntamento e dirà, certamente dirà: ‘Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me ed io in te siamo, infatti, un’unica e indivisa natura’ (Omelia di anonimo per il Sabato Santo).
Questa fede è il messaggio di Giordano.
Questa è la fede che consentiva al nostro martire di dire ‘questo Giordano non torna indietro’, ai confratello che, celiando sul nome Giordano, gli volgevano, maccheronicamente contro, il salmo ‘Giordano vide il mare e … si volse indietro’ (cfr. sal 113,3).
Lo scrittore e poeta russo Boris Leonidovi? Pasternak, nel suo dottor Živago, narra di quei soldati che, mandati a combattere, portavano ben custodito nel panciotto, il testo del salmo 90. Non si trattava di portare con sé un talismano non si sa quanto potente ma che, a ogni buon conto, poteva risultare utile parallelo del rosario accoccato allo specchietto retrovisore della utilitaria.
Si tratta di uno spartito mirabile eseguito con lo strumento più mirabile della vita lievitata dalla fede.?‘Di’ al Signore: “Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido”. ?Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. ?Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio. ?La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, né la peste che vaga nelle tenebre, né lo sterminio che devasta a mezzogiorno.
Nulla ti potrà colpire. ?Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora, non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. ?Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. ?Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede. ?Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi. ?Egli ha detto: Lo salverò, perché a me si è affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome. ?Mi invocherà e gli darò risposta; presso di lui sarò nella sventura, lo salverò e lo renderò glorioso. ?Lo sazierò di lunghi giorni e gli mostrerò la mia salvezza.
L’Italia, diceva Caterina da Siena, l’Europa, il mondo, la Chiesa, aggiungiamo noi, hanno bisogno del mugghio umile e, perciò, evangelicamente potente, della fede testimoniata da Giordano Ansalone e divenuta nostra.
Fede della quale un minuscolo granello basta a trapiantare in mare, vivo e vegeto il gelso (cfr. Lc 17, 6). Il mare del mondo dell’incandescente magma in perenne riposizionamento.
mons. Ignazio Zambito, vescovo emerito di Patti
foto dalla pagina Facebook del Comitato Giacinto Giordano Ansalone
Carissimo Padre Alessandro,
era il 24 aprile 1987, quando, nella cattedrale San Lorenzo di Trapani, per l’imposizione delle mani di mons. Emanuele Romano, veniva ordinato...